Parte terza

LA DISTRUZIONE DI BUSSANA

Dalle memorie autografe del Servo di Dio Don Francesco Lombardi 

 Terza parte §§ XVII - XXIV

 

Dalla tendopoli alle baracche – Le visite del Vescovo Beato Ambrogio Raggio e del Ministro Genala - Un nuovo terribile spavento: la scossa del l’11 marzo – Discussioni e progetti per la nuova Bussana

  • XVII

Il giorno 24 stava passando come il giorno 23, quando portarono la notizia che si era scoperto un cadavere e che l'avean portato con gli altri all'oratorio del paese.

Raccontavano che l'avean trovato con due, tre volti addosso, schiacciato per modo da doverlo riconoscere dalle vesti che indossava. Allora ci guardammo tutti in faccia, ed abbassammo gli occhi a terra per l'angoscia.

L'indomani, una buona notizia mise in tutti un pò di animazione e di contento.

Tra i morti noi avevamo già contato un'intera famiglia, la cui casa era diroccata alla lettera… fino al suolo… Per chi la conosce parlo della famiglia Soleri Giuseppina ved. Ceriolo. Invece, non fu così, la Giuseppina ed una sua figlia di 5 o 6 anni poterono salvarsi dopo essere stati più di cinquant'ore sotto le rovine. Qui lascio che essa stessa racconti la sua storia. “Quando si udì il terremoto - raccontò - io mi trovava ancora in letto con le due figlie Romana e Antonietta. Mi trovavo sulla sponda del letto, la Antonietta in mezzo e Romana vicina al muro. Tosto io feci per alzarmi ma ebbi appena il tempo di afferrare la piccola Antonietta che tutta quanta la casa crollò ed io mi trovai letteralmente coperta di pietre assieme alla mia figlia e solo avevam libera la faccia e tanto d'aria per vivere. Che gramo vivere, però, era quello… Noi non potevamo muoverci in modo alcuno, quando venne un'altra scossa che ci fece sprofondare nuovamente. Fu fortuna perché ci rotolammo giù e terminammo in una stanza ove eravamo libere perfettamente, ma completamente all'oscuro”.

“Allora cominciai tastare colle mani per indovinare dove mi fossi. Trovai un armadio e giudicai che fossimo in casa Novella, e vi eravamo difatti. In detto armadio vi trovai delle vesti per donna, mi vestii completamente, come pure vestii la mia figlia. Dopo radunai tutte insieme le vesti ed altri oggetti che ivi erano onde consegnarli ai padroni se pur erano ancor vivi”.

“Fatto questo cominciai a gridare aiuto, ma chi potea sentirmi?… La mia figlia se ne stava quieta, essa non conosceva il pericolo, non pianse mai, non domandò mai da mangiare, e nelle 50 ore che stemmo sotterrate solo due volte mi domandò da bere. Io le risposi con tutta calma, bisogna morire, figlia, altro che bere”.

“Ma pur mi feci coraggio, mi pareva che una voce mi dicesse all'orecchio, non morirai. Sentivo continue scosse, sentivo case che si diroccavano. Finalmente presi una risoluzione decisiva. Gridare è inutile, dissi, bisogna agire. Io ero stanca assai e non mi sentiva più di stare in piedi ma non volea morire sepolta viva. Mi orizzontai, cominciai a spostare pietre onde aprirmi un passaggio.

“Quando fui stanca da non poterne più, mi riposai, e poi di nuovo avanti. Lavorai delle ore e delle ore… toglievo una pietra e ne venivano giù quattro… Non mi scoraggiavo per questo, e raccomandandomi sempre al mio buon Angelo ed alle anime sante del Purgatorio lavoravo di continuo finché non vidi un pò di luce… Era ora… chè io mi sentiva proprio spossata… levai altre pietre, feci un buco, gettai fuori le vesti che io avea raccolto, feci passare prima mia figlia Antonietta e poi, carponi, carponi, uscii io stessa e mi posi a sedere sopra una pietra, all'entrata della fossa che dovea essere la mia tomba, in mezzo ai miei tre figli morti da una parte e mia zia dall'altra. Ivi stetti un'ora e mezza sempre gridando e chiamando aiuto, chè io era intirizzita dal freddo, ed in uno stato da non potermi più muovere. Ma nessuno mi sentiva”.

Passarono così delle ore e delle ore. Finalmente qualcuno mi udì e grazie a Dio fui portata in salvo”.

  • XVIII

Una cosa degna di nota è il sangue freddo con cui la Giuseppina, nei primi giorni, raccontò la sua storia, e come vide morti gli altri tre figli, e come fu anzi spruzzata dal loro sangue, e come anche una zia vide morta nella tinozza del Dott. Torre … ora, però, non solo non racconta più la sua storia, ma piange al primo sentirne parlare.

Il prodigioso salvamento della Soleri mise un pò di contento e di animazione in mezzo a noi, però fu l'affare di pochi minuti, perocché subito dopo corse in tutti un angosciante dubbio. I morti, dicevamo, sono 54, finora non abbiamo trovato che 20 cadaveri, chi ci assicura che sotto le rovine non sianvi altri nostri compaesani che vivano ancora? e chiedano aiuto?

“Andiamo a lavorare” - si gridava da tutte le parti - “andiamo a dissotterrare i nostri fratelli”. E dopo aver chiesto mille permessi, una comitiva dei soliti coraggiosi si avviò verso le rocche…

Quando furono in piazza si udì una voce; fuggiamo viene giù il campanile. La vista delle rovine… quel grido pauroso… l'autorità di chi lo emise, causò uno spavento generale. Si fuggì a rotta di collo e si ritornò cogli altri nella vigna della Prebenda. Di là, gli occhi di tutti a spiare la caduta del campanile e già pareva di udire l'orribile scroscio. “Alla larga” - si gridava, - alla larga, viene giù il campanile… Oh poveri noi… Cade… Cade… “No che non cade” - giuravano gli altri - è più diritto di voi, e starà in piedi più di noi tutti… “Sentite, sentite, che ha parlato l'uomo di scienza… Vattici un pò a mettere sotto”… “Ci vado, sicuro, e monto a movere le campane”… “Silenzio” - dicevano altri - noi siamo qui a fare delle parole ed i nostri cari domandano aiuto, facciamolo cadere davvero, e non se ne parli più”. “Sicuro facciamolo cadere, Battista ha detto bene, andiamo a prendere un cannone”… “no, facciamolo saltare mediante una mina”… “che mina!… Datemi un pacco, vi vuole un pò di dinamite e vado io a farlo saltare”… “Che dinamite… datela a me che vado a metterla in fondo al campanile e lo facciamo saltare in aria” gridava un terzo…

Fu una piccola commedia, e basti così. Però mi affretto a dire che fu una commedia di cattivo genere. Senza quel grido d'allarme si sarebbe andati a lavorare, forse si sarebbe salvato ancora qualcuno, e così non avremmo a piangere ancora ventun cadaveri sotto le rovine, ed invece, per quel giorno, non si fece più nulla. Chi emise quel grido pauroso? Non voglio saperlo… Gli parve davvero vedere il campanile che si sfasciasse, ovvero fu arte onde non addentrarsi nelle rovine, ed esporsi a qualche pericolo?… Non malignare. Questo solo dico: che quel grido fu fatale, e chi lo pronunziò non fu uno di Bussana.

  • XIX

Al mattino del giorno 25 giunse improvvisamente in Bussana Sua Ecc.za Rev.ma Monsignor nostro Vescovo amatissimo Tommaso dei Marchesi Reggio. Fu l'arrivo del padre in mezzo ai suoi figliuoli. Ci stringemmo tutti intorno a Lui, per chiedergli la benedizione a noi, ai nostri feriti, ai nostri morti. Da vero padre ci benedì, ci confortò con la calda sua parola, ci incoraggiò a rassegnarci ed a sperare, ci lasciò un abbondante soccorso, e dopo visitate le nostre rovine, i nostri feriti, ci benedisse tutti. Non contento ancora, dopo pochi giorni spedì il Rev.mo D. Lagorio Prevosto della Cattedrale di Ventimiglia, a raccogliere quanti orfani erano in Bussana onde collocarli in luoghi convenienti, e passato qualche tempo volle ritornare in Bussana onde meglio vedere, ed essere meglio informato del nostro vivere.

Oltre la visita del vescovo avemmo quella di moltissime autorità, molte delle quali vennero solo a vedere. Io, però, non dimenticherò mai la visita che ci fece il Ministro dei lavori pubblici Onorevole Genala. Quell'alto dignitario comparve visibilmente commosso, e son sicuro che fece sforzi per non piangere. Volle vedere uno per uno tutti i feriti, volle vedere tutte le nostre rovine, volle essere informato di tutto, ma prorpio di tutto, e diede ordini e disposizioni salutarissime. Partendo disse queste parole: “ho già veduto delle rovine, ma una distruzione come qui, a Bussana, non vidi mai”.

La sera di questo stesso giorno fu una sera malinconica. Spirava un'aria fredda che ti agghiacciava, ed il cielo minacciava pioggia abbondante. Lontan lontano si udiva borbottare il tuono e roboare nei profondi valloni. L'oscurità della notte, lo scompiglio della natura, e gli avvenimenti della giornata avean generato una certa tetraggine…

Quando le tenebre furon calate tutte, uomini del paese ed una squadra di uomini ferroviari, venuti per portarci aiuto, capitanati dal bravo ingegnere Ardizzone di Bra, furon visti avviarsi all'oratorio del paese ed uscirne in quattro portando un cadavere. Vennero a depositarlo sopra un carro. Al primo cadavere fa seguito un secondo e poi un terzo… e quando il carro fu zeppo se ne cercò un altro, e avanti cadaveri, avanti cadaveri… uomini… donne… giovani… figlie… tutti giù alla rinfusa uno addosso all'altro… Terminata la mesta cerimonia, soli soli, ci avviammo verso il cimitero. Dico soli giacché pregai la gente a non venire al cimitero, onde non accrescere lo spavento ed il dolore, avevo suggerito. invece, di ritirarsi a recitare il Rosario pei poveri morti.

I pochi uomini che chiamai a rischiarare con funebri lanterne, quelle scene di morte, recitavano con me il miserere. Il miserere lo ripetemmo tante volte, con voce sempre più flebile e triste… Ah che cattivo procedere fu quello, che cattivo andare!… Giunti al cimitero, i pietosi che condussero a mano il carro ne estrassero uno per uno quei cari cadaveri e li misero tutti insieme in una fossa comune… si sparse sui loro cadaveri molta calce… si terminò col coprirli di terra e poi calce di nuovo… Allora ci inginocchiamo tutti su quella sacra fossa, cantammo un solenne De profundis… Assicuro che quell'ultimo “requiescant in pace” lo pronunciai davvero commosso, come commossi, dal fondo del cuore furono tutti, e me ne fo garante per aver sentito come i presenti risposero “Amen”.

Ci ritirammo nelle nostre tende, ma, per quella notte, si dormì ben poco.

Il vento si mise a soffiare ben forte, ci portava via le tele delle nostre tende e l'acqua ci bagnava di santa ragione…

  • XX

E' facile il capire come fosse una vera utopia sfidare le stravaganze del mese di Marzo, con quella razza di abitazioni. Per una notte, per due notti, per tre notti si tirò, ma bisognava pure rimediare a tanto inconveniente.

La gente si ammalava a dieci per giorno, e qualcuno era già morto per polmonite. Però come rimediare? Certo non era così facile il farlo, come il dirlo, e non so fino a quando saremmo stati sotto quelle tende se la generosità del Sig. Ceriani Santino di Ventimiglia, ammogliato con una certa Calvini di Bussana, non ci avesse regalato 40 tende coniche di quelle che usano gli ufficiali quando sono al campo.

Quelle tende parvero tanta manna per chi poté averne una. Vi stavamo bene davvero? Certo molto meglio! Allo stesso modo che, al povero accattone, assuefatto a dormire nei fienili, par d’essere divenuto un re quando può dormire sopra un soffice materasso, così noi ci chiamammo felici quando ci vedemmo al sicuro dai venti e dalle piogge.

Il lettore si immagini quale sorta di felicità era la nostra. In ogni tenda vi erano 12 - 15 - 20 persone e si dormiva tutti vestiti. Se pioveva bisognava stare dentro tutto il giorno, lo stesso se faceva vento. Ed il pericolo di un incendio? e le cucine?… Oh, quante volte bisognò passare giorni interi con un po’ di pane secco per non poter accender il fuoco!… E si avea bisogno di ben altro… Ma bisognava rassegnarsi… Sotto simili tende i più fortunati stettero appena trenta o quaranta giorni, poiché Comitato Circondariale di San Remo aveva dato ordine che si costruissero tante baracche di legno, per la somma di ventimila lire. Man mano che una era ultimata, tosto veniva occupata da una o due famiglie.

Allora la contentezza giungeva al colmo, e ci dicevamo fortunati poter stare in 5 - 7 persone ed anche 8, in una baracca che misurava quattro metri per quattro e presentava mille inconvenienti, ci assoggettava a mille privazioni. E ci dicevamo fortunati noi, che pochi giorni innanzi avevamo tutti una casa pulita assai, dove avevamo tutti i comodi accessori alla vita.

Ho detto che le baracche presentavano e presentano ancora mille inconvenienti, come la mancanza delle latrine. Come provvedere alla pubblica igiene? Come ripararsi dall'umidità?… I lettori a queste tante lamentele, ed altre molte che si potrebbero fare, risponderanno, “si poeta fare così, e così”, ed io rispondo che in primo luogo così e così non si fece. Più di una volta fummo obbligati a tenere sul nostro letto aperto il parapioggia per non bagnarci del tutto, e se, a tanti inconvenienti non si riparò, come si poteva riparare, la colpa non è solo tutto difetto di previdenza, ma un pò della fretta colla quale si dovettero costruire le baracche. In secondo luogo quando si ha alle spalle una popolazione che soffre e vi dice di far presto, non si ha tempo a pensare a tanti comodi e ad ovviare a tanti inconvenienti.

  • XXI

Dopo aver pensato a provvedere una baracca per la popolazione era doveroso che si pensasse a mettere su qualche baracca-chiesa per le sacre funzioni.

Per tre mesi e più, nei giorni festivi, le funzioni si facevano in aperta campagna. Alla domenica il sagrestano alzava quattro pali, li fasciava in bianco, distendeva quattro tele, pur esse bianche, portava un tavolino, vi metteva sopra la pietra sacra, le tovaglie, un piccolo crocifisso, accendeva due candele e lì si celebrava la santa messa. I fedeli erano obbligati a stare tutti all'aperto, ascoltavano esposti al sole, al vento, alla pioggia… Oh quante volte si pianse nel vederci ridotti in sì miserabile stato, noi, che avevamo una chiesa così bella e ancora pochi mesi prima avevamo fatto tanti sacrifici per abbellirla…

Finalmente, però, furono esauditi i nostri voti e Monsignor nostro Vescovo che, già tanto si era interessato per noi, ci regalò per intiero la magnifica baracca-chiesa che possediamo adesso e che è capace di un 300 persone circa. Siamo però contenti? No che non lo siamo, noi vogliamo una chiesa più conforme ai nostri bisogni, più vasta, più bella, più decente, che meglio corrisponda alle aspirazioni del nostro cuore. Quando potremo rivederci di nuovo tutti riuniti ai piedi dell'altare? In questo mettiamoci con tutta fiducia nel Cuore Sacratissimo di Gesù, Tu solo, lo sai, Tu che solo puoi compiere i nostri desideri.

Durante i tre mesi nei quali fummo senza chiesa, il SS.mo Sacrameno si tenne nella piccola ma pulita cappella di quel bravo sacerdote che è il Rev.do Comanedi Vincenzo Guglielmo, ed ivi pure si celebrava la santa messa in tutte le mattine, nei giorni feriali e si compievano tante altre funzioni.

  • XXII

Prima di por fine a questa mia narrazione delle nostre disgrazie, e dei nostri pianti, non posso passare sotto silenzio la giornata degli undici Marzo, in cui avvenne una scossa di terremoto assai forte, che durò parecchi secondi. Dal giorno 23 Febbraio molte scosse furono udite, ma leggere per modo che la gente, la quale avea udito la prima non vi badava più di tanto, e siccome non tutti le avvertivano, quindi non vi si badava più di tanto, e si tirava innanzi. Quella però, degli undici Marzo, avvenuta circa le 3 pomeridiane, fu udita generalmente, e posso dire che ci fece tremare tutti, specialmente coloro che si trovavano in paese. A chi li vide fuggire dal pericolo, parve vider fuggire dei cadaveri, tanto eran bianchi e sparuti.

La scena, però, più dolorosa avvenne nelle due case ridotte ad ospedale. Quei poveri feriti rimasero talmente spaventati che si alzarono tutti ed, in un momento, furon sulla porta. Quella vista… quei poveri feriti involti in tanti lenzuoli… quelle loro grida di spavento… le grida di tutti, furono qualche cosa di affannoso e terribile… ed io credo che finché si parlerà del terremoto del 23 Febbraio, si parlerà pur anco del terremoto del Venerdì undici Marzo. I feriti furono talmente spaventati che affermarono di non voler più entrare nell'ospedale, pronti, piuttosto, a dormire all'aperto. E poiché avevano purtroppo ragione, furono fatte sgombrare varie baracche ed ivi furono trasportati. Staremo peggio, diceano, soffriremo il freddo, ma, almeno, dormiremo tranquilli.

Infelici, neppure ivi furono tranquilli!… Infatti un giorno, avendo preso fuoco due baracche e bruciatesi completamente, divettero alzarsi un'altra volta, e passare un altro cattivo quarto d'ora

  • XXIII

Ed ora basti finalmente. Forse vi sarebbero ancora tante cose da dire, e di queste forse, farei bene a dirne, onde, i nostri figli, sappiano quali giorni passarono i loro padri, e come furono curati i loro interessi, ma preferisco tacere. Molte cose saranno tramandate alla loro memoria da altri, molte passeranno di progenie in progenie. Piuttosto prima di terminare io faccio una domanda e chiedo quale sarà il nostro avvenire? l'avvenire del nostro caro paese? Nol so, e nol so davvero, e se avessi da giudicare dal presente dovrei fare dei ben cattivi pronostici.

In quanto alla popolazione, inutile dirlo, ha passato una cattiva estate, e l'ha passata davvero in mezzo a privazioni d'ogni sorta, ed, ora, si vede innanzi un inverno assai peggiore, senza sapere quando, avran fine i suoi dolori, quando potrà uscire dalle incomode baracche nelle quali si vive, e riavere una casa ove meglio alloggiarsi.

Ed è così, non sappiamo quando potremo riavere una casa perché non sappiamo quando potremo riavere un paese.

Ma il Cuore di Gesù ci aiuterà!

Bussana, il caro luogo che ci vide nascere tutti è distrutta per modo che sarebbe una utopia pensare di riedificarla, come è un'utopia pensare a star sempre nelle baracche. Dunque?…

  • XXIV

La questione di riedificare un nuovo paese, naturalmente sorse subito dopo il 23 Febbraio, e siccome, fin d'allora, ciascuno voleva dire la sua, disgraziatamente spesso egoistica, quindi le opinioni si divisero in quattro principali.

C'era chi volea rifabbricare Bussana nella regione detta Cormegne, altri nella regione detta Pianetti, altri nello stesso luogo dove si trova distendendosi verso la colla ed altri nel Cavo delle marine.

Quale di queste quattro posizioni sarà la migliore?… Non mi credo competente a risolvere la questione e quindi la lascio in bianco, e non farò che degli apprezzamenti.

In quanto alla regione Cormegne (smi pare una stranezza l'averla pur proposta, e sebbene la regione Pianetti sia migliore sotto ogni rapporto, pure mi pare che, la vera questione, dovea essere formulata così: riedificare Bussana nel luogo dove si ora si trova o dove sorgeva 700 anni fa cioè sul capo delle marine.

Ambidue queste posizioni presentano molti vantaggi, e molti inconvenienti. Certo la posizione dove Bussana si trova al presente è ottima, abbiamo un'aria saluberrima, acqua abbondante, una comoda strada carrozzabile. Abbiamo molte case delle quali le stalle sono in ottimo stato, e quello che più monta, abbiamo tutti i materiali nel luogo, e in tal quantità che possiamo farne due Bussane. Abbiamo la chiesa in uno stato che dieci, dodici, quindici mila lire la si fa migliore di com'era prima. Dopo tutto siamo proprio nel centro del nostro territorio, cosa che non bisogna disprezzare, motivo per cui, qualora si distruggessero sino al suolo le case delle rocche e tutte quelle delle fascette che sono guaste e si ristorassero seriamente le case non tanto danneggiate, e se ne fabbricassero delle nuove dove adesso ci sono le baracche, sotto la strada carrozzabile presso la casa di Garibaldi, certo dico che non sarebbe un cattivo pensiero. Sotto la direzione di un bravo ingegnere si potrebbe fare un buon lavoro, più che qualunque altro progetto.

Ho detto che bisognerebbe distruggere fino al suolo le rocche e tutte quelle case che sono guaste, ora io domando, tutto ciò, è egli possibile? Ivi sono i miei timori, che, cioè, molti si adattino a riparare la loro casa alla meglio, ossia alla peggio e preparino la tomba ai loro figliuoli…

Che dire della regione detta i Pianetti. La posizione non è grama, è abbastanza centrale, più vicina al mare, fiancheggiata dalla strada carrozzabile, non troppo esposta ai venti. Quante spese, però ma quante!… Bisognerà portarvi tutti i materiali, l'acqua, aprire nuove strade, e fare tutto di pianta, casa, chiesa, comune ecc ecc. E certo noi tramanderemo ai nostri posteri debiti gravissimi, e Dio non voglia che Bussana diventi tutta proprietà di quegli istituti bancari che, a norma della legge per i danneggiati, si assumeranno l'incarico di imprestarci le somme necessarie per ricostruire il nostro paese coll'interesse del 2,74% e 2,80%…!

Altri finalmente vogliono che Bussana risorga dove esisteva 700 anni fa circa, cioè nel Cavo delle Marine, anzi il Municipio ha già approvato una tale località, e si sono già fatti tutti gli studi.

Andrà bene? In primo luogo ci scostiamo troppo dal nostro territorio. I fautori di questa regione del capo delle marine parlano, di una tale località con molta enfasi e, bisogna dire che non ragionano male. Andando al mare, dicono, ci avviciniamo ai grandi centri, andiamo in una magnifica posizione ed è vero; dicono che aprendo delle strade la lontananza dalle nostre terre sarà più apparente che reale, ed anche questo, in parte è vero; dicono che l'aria sarà ottima, e forse sarà vero anche questo; dicono che Bussana diventerà un luogo ove facilmente avremo una colonia di forestieri che verranno, col tempo, a passare l'inverno.

I grandi vantaggi che sperano i fautori del capo delle marine, pur ammettendoli, risponderanno in eguale vantaggio per la moralità della popolazione nella futura nostra Bussana? Il sottoscritto non solo teme, ma dubita molto e prega fortemente e fa voti onde non essere profeta.

 

Don Francesco Lombardi

Parroco