LA DISTRUZIONE DI BUSSANA
Dalle memorie autografe del Servo di Dio Don Francesco Lombardi
Seconda parte §§ IX - XVI
- IX
Intanto che i coraggiosi attendevano al salvataggio di un ferito, i vecchi, i fanciulli, le donne si eran tutti ritirati man mano nella vigna della prebenda. Parte della popolazione era distesa sopra materassi ed altri distesi sulla nuda terra. Di essi chi aveva ferita una gamba, chi tutte e due, chi una spalla, chi era tutto una piaga. Ivi fu pure portato qualche cadavere.
Tutta quella gente che piangeva, che gridava, che strepitava ovvero che ti guardava in faccia cogli occhi stralunati, era qualche cosa di desolante…
Tutti si chiedevan l'un l'altro “ed i tuoi sono salvi?” “E tu come lo fosti?” Tutti si abbracciavano, si stringevano al cuore, si raccontavano a vicenda la dolorosa loro istoria.
Altri raccontavano di esser caduti dal terzo o dal quarto piano fino giù nella stalla, altri di essere rimasti coperti di pietre, e mostravan le ferite, altri rievocavan la morte dei loro cari, e lì a pianger dirotto. La gente si accostava loro onde porgere un conforto … ma quale conforto se tutti piangevano, se tutti avevano una storia dolorosa da raccontare e da piangere la loro sorte?.…
Una povera madre mi si presenta, “ah!, signor Parroco, il mio figlio è morto, il mio caro Marco non c'è più”… “ma no, fatevi coraggio, era tanto buono, il Signore l'avrà aiutato”. E quella a gridare più forte “no, è morto, è morto davvero… eravamo ancora in casa, a letto, quando d'improvviso udimmo quel fracasso e vedemmo la casa del medico Torre abbattersi, precipitare, e poi quella più vicino a noi, del nostro cognato Calvini Gio Batta e poi la nostra, vedemmo andare giù il nostro letto, fu fortuna che pronti ci alzammo… Con mio marito ci mettemmo in un angolo della stanza che non sprofondò, sicché fummo salvi miracolosamente, ma il nostro caro Marco che si ritrovava nel piano di sotto rimase coperto dalle macerie”. La povera madre ancora adesso lo piange inconsolabile.
Un altro strepitava perché eran morti suo padre e sua madre. E cari fanciulli ci venivano incontro gridando “siamo orfani sulla terra, non abbiamo più nessuno”.
Altri poi ti assediavano di domande: “li ha veduti i miei? …ne ha sentito parlare?… Dove sono?… Come stanno?…”… “Sì, fatevi coraggio, recitate il rosario e la Madonna consolerà tutti, pregate il Cuore di Gesù perché abbia pietà di noi, dei poveri nostri morti, dei poveri tanti feriti…”.
I quali feriti emettevano continui lamenti e non si sapeva come consolarli… chiedevano un aiuto, che non si poteva dar loro… cercavan qualche ristoro: un po’ di vino, qualche liquore che non si poteva avere… almeno una parola di conforto e questa parola bisognava dimezzarla tra loro perché la domandavano in tanti… Ah Signore, che cattiva mattinata fu quella!
Verso le 8 di mattina giunsero molti medici dalla vicina San Remo, portando con sè tutti i medicinali necessari. Si misero subito all'opera aiutando così il nostro bravo medico condotto, Sig. Fornara Raimondo che, ferito egli pure, avea già fatto del suo meglio nelle prime cure e medicazioni delle ferite. Naturalmente si capì subito che all'aperto, sotto la sferza di un sole che cuoceva, non era conveniente lasciare a lungo i feriti, quindi furono portati in due case fuori del paese, che il terremoto avea risparmiato quasi interamente. Ivi furono posati per terra, sopra miseri materassi e perciò è facile immaginare quanto soffrissero.
I pietosi si mettevan loro d'attorno e, come una madre prodiga di carezze un figlio cui non si può dare nutrimento, così essi s'ingegnavano di calmare i loro dolori, di rispondere ai loro bisogni con buone parole e con larghe promesse.
Quei bravi medici e segnatamente il Dott. Panizzi Emilio che fu già nostro medico condotto, si misero loro d'attorno, lavarono le piaghe, asciugarono le ferite, fecero le dovute fasciature, seppero dire a tutti una di quelle parole che, senza essere una medicina, sono un gran conforto a chi soffre.
Dopo tutto mi affretto a dire che, tranne i primi giorni di confusione, ai feriti si provvide in grande: se furono così bene curati e trattati lo si deve principalmente oltre al nostro Sig. Fornara, al bravo medico Sig. Revelli Cav. Giovanni, Medico primario all'ospedale Pammatone di Genova, nostro compaesano che appena udì la triste notizia, abbandonò la sua clientela in Genova ed accorse in mezzo a noi, e prodigò una cura così intelligente, così disinteressata, che una tenera madre non avrebbe potuto far meglio. Egli ritornò a Genova quando conobbe che i feriti non potevano più peggiorare.
Dei quaranta e più feriti due soli morirono, gli altri guarirono tutti, neppur uno rimase difettoso, sebbene vi fosse tutta la ragione di temere che molti dovessero rimanerlo.
- XI
Circa le ore nove succedette la terza scossa, la quale portò al colmo il terrore della popolazione sicché si levò un tale grido di dolore che fece gelare il sangue nelle vene.
Un quarto d'ora prima, un uomo era venuto a dire che sua moglie, la sua Eugenia, viveva ancora, e che, da sotto le rovine chiamava aiuto. Un altro portò la notizia che gli era parso di udire dei lamenti soffocati nella casa del servente comunale.
Una ventina di giovanotti accorsero a portare aiuto dove di aiuto c’era bisogno e con loro alcuni generosi della vicina Arma di Taggia: si divisero in due schiere ed avanti e coraggio.
I primi avevano già fatto un buono scavo, avevano già superato ogni pericolo, il marito aveva già nelle braccia la moglie e le aveva detto, “non temere, sei salva… Eugenia, non ti lascio più…” ancora un minuto ed era salva… Ma fu allora che successe la terza scossa e fu fortuna se quei coraggiosi poterono salvarsi, ma per tale scossa precipitarono così tante case che la povera donna rimase coperta da una nuova montagna di pietre. Povera Eugenia… Era tanto buona…! Per colmo di sventura essa era incinta…! La stessa sorte accadde a coloro che accorsero presso le rovine della casa del servente comunale, ed anche essi dovettero la vita alla presenza di spirito che ebbero nel salvarsi.
Non si sgomentarono e furono sul posto una seconda volta… Silenzio sepolcrale… Chiamano e nessuno risponde… Uno di essi che aveva sentito i primi lamenti; “vi dico di sì - disse - sotto queste rovine qualcuno vive ancora!” … si mettono a scavare… Finalmente loro pare di udire una voce cupa, sotterranea… “adagio, facciamo adagio”. Dopo pochi momenti uno afferra una ciocca di capelli, è qui, disse, è Leonina… La misero in salvo e la portarono cogli altri feriti. Io fui subito da lei. Era tutta pesta, colla faccia gonfiata e con la lingua che non poeta quasi parlare, aveva gli occhi erranti e l'aria di una persona che ha sofferto tanto. Appena mi vide: “ora sono sola sulla terra - mi disse stentatamente - non ho più nessuno”. Era vero, il terremoto l'aveva privata, in un momento, di un caro padre, di una cara madre, e di due cari fratelli… Che un dolce pensiero consoli l'orfana, ed è che tutti ricorderemo sempre con amore il suo caro padre Gio Batta Calvini che, per molti anni, servì il Comune in molte cose con rara intelligenza e con inappuntabile condotta.
Fu salvato ancora un altro giovane ventenne, e poi un ragazzo di dodici anni…
Qui non posso terminare il capitolo senza mandare un caro saluto ai coraggiosi che federo prodigi per salvare tante vittime. Sì, o cari giovani, che, con tanta abnegazione di voi stessi, dissotterraste tanti cadaveri, salvaste tanti feriti, lasciate che io vi stringa la mano in nome della Chiesa che ama tanto i suoi figli, in nome di quel Dio che promise ricompensare chi asciuga le lacrime del meschino che soffre. Voi, per i vostri fratelli, metteste a pericolo la vostra vita, ma lassù, in cielo, vi è uno che vi vide e se chi non dovrebbe ha già dimenticato il vostro sacrifizio, Egli, però, non vi dimentica ed il vostro nome lo ha scritto nel libro dei benefattori dell'umanità languente.
Fra i coraggiosi mi piace citare specialmente i nomi di Ceriolo Tobia, Torre Giovanni, Lepreri Gio Batta e molti altri ancora.
- XII
Poco dopo le nove giunsero un venticinque soldati di fanteria del 26° reggimento, comandati dal tenente Mattei. Vennero per portare aiuto. Devo dirlo? Sarebbe meglio non fossero mai venuti, non avremmo a piangere 21 cadaveri che ancora giacciono sotto le rovine.
Appena giunti i soldati, furono poste le sentinelle per modo che nessuno potesse più entrare in paese. I soldati che mostravano voler fare tutto fecero un bel niente…
Coi soldati vennero altri dei quali una parte si fermò poco ed altri a lungo. Anche questi sarebbe stato meglio non fossero venuti mai… In quei primi giorni succedettero tantissimi furti, così azzardosi e sfacciati che i paesani non ne seppero e forse non ne sapranno mai l'origine.
Oltre ai soldati di fanteria vennero pure un 50 soldati del Genio i quali, nei 30 e più giorni che furono in mezzo a noi, dissero di essere venuti per far cadere le case pericolanti e dissotterrare i cadaveri. Partendosene furono accompagnati da una musica fino alla stazione.
Chi merita veri elogi sono i pompieri di Sanpierdarena, i quali fecero prodigi di valore e salvarono tanti nostri beni …
- XIII
Giunse la sera di quel tristissimo giorno: dove dormiranno 800 e più persone? Come potranno ripararsi dal freddo della stagione?
I più abili e specialmente coloro che erano stati soldati si misero a costruire baracche. Nella fretta del costruire, senza pali e con tende accessorie, immagini chi può quali baracche costruirono, eppure parvero tanta manna e quando fu notte avanzata tutti erano attendati.
Si rifugiarono dieci, venti per tenda, non importa se di diversa famiglia. Si recitò il Santo Rosario per i poveri morti… Quel Rosario forse giammai fu recitato da tanti, e con tanta devozione.
Quella notte nessuno dormì, tutti avevano da raccontare la propria storia, tutti da piangere qualche loro caro, un pianto silenzioso interrotto da singhiozzi… E poi chi poteva dormire, se tutti i momenti si udivano nuove scosse di terremoto?
Qualcuno riposò qualche momento, ma si svegliava di soprassalto per unirsi agli altri che non si stancavano dal pregare, dal chiedere a Dio misericordia e perdono e che sospendesse il terribile castigo.
- XIV
Appena spuntò la prima luce ci alzammo tutti e come per istinto corremmo a metterci in faccia alle nostre case diroccate. Non credevamo a noi stessi, ci pareva che quelle case dovessero essere di nuovo al loro posto, ci pareva che coloro che piangevamo morti fossero là ad aspettarci e noi non aver fatto che un sogno di cattivo genere… ma purtroppo non era un sogno ma una triste realtà… L'orologio del campanile era sù in alto, muto, che segnava impavido l'ora fatale del giorno innanzi… Muti erano i sacri bronzi che solevano chiamare la gente alle sacre funzioni del mattino, muto era l'intero paese…
In ogni persona che incontravi vedevi una faccia dolente, e quegli occhi rigonfi indicavano abbastanza la cattiva notte passata. I giovani parevano aver perduto il coraggio del giorno innanzi, le figlie andavano col capo dimesso, le donne parte pregavano piangendo ancora, parte dicevano ai figliuoli non so quali cose sommesse.
I più piccoli, alla loro età così smemorati ed irriflessivi, parevano tanti vecchi di ottant'anni, e no, non facevano bisogno prediche per invitarli a star buoni… Si cominciava a patire la fame. Il grido d'allarme lo diedero per primi i lattanti, si estese poi ai più grandicelli e certe facce di adulti pallide non indicavano solo terrore.
In quel mentre giunse una comitiva di Signori facenti parte del comitato di beneficenza di San Remo, con a capo i Signori Marchese Spinola, Marchese del Castillo, il Cav. Zirio ed altri il cui nome mi sfugge, i quali misero a nostra disposizione la bella somma di 500 lire, dicendo: con questa somma si soccorra ai primi bisogni della popolazione, noi penseremo a provvederla di pane e di pasta… Come dissero fecero e, poche ore dopo, giungevano carri carichi di pane, pasta, vino, carne ecc ecc. Se ne fece subito la distribuzione, e tutti, mandammo al cielo una preghiera pei nostri Benefattori.
Grazie Signori di San Remo e grazie infinite, e con voi siano ringraziate tutte quante le città italiane: Genova, Torino, Milano, Ancona, e tante altre che fecero prodigi di carità per alleviare tanta sventura che incolse a noi ed a tutta la Liguria. Sì, torno a dirlo, di tutti sia scritto il nome nel Cuore Divino di Gesù e mai più ne sia cancellato. Un tal voto parte sincero dal mio cuore, parte sincero dal cuore di tutti i miei cari e disgraziati parrocchiani, ed il Divin Cuore lo esaudirà certamente perché a Lui sono care le preghiere dei riconoscenti.
- XV
Non solo in quel giorno, ma per quasi due mesi, la popolazione fu mantenuta a spese della pubblica carità, senza contare i molti oggetti di vestiario, coperte ecc ecc. che tutti ebbero in quantità.
Bene inteso che, tanta grazia di Dio, non ci venne solo da San Remo, ma come dissi di sopra, da tutte parti d'Italia. Mancherei al mio dovere se qui non nominassi con tutto rispetto il Barone Podestà Andrea Sindaco di Genova per tutto quello che fece per noi a mezzo del gentilissimo Sig. Luca Cresta suo impiegato municipale; ed il Sig. Arnaldi Vincenzo nostro Consigliere provinciale. Dopo tutto qual sarà la nostra riconoscenza? Per quanti sono, generosi, che ci soccorsero mai sorgano eguali bisogni… Sì, o Cuor di Gesù, ricompensa i generosi. Tu che, solo, il puoi, e benedicili tutti nell'anima e nel corpo, scrivine il nome nel Tuo Cuore Divino, e che, mai più, ne sia cancellato… Un tal voto è sincero e parte unanime dal cuore di tutti noi, ed il Cuore di Gesù lo esaudisca, perché a Lui sono care ed accette le preghiere dei riconoscenti
Qui io mi faccio una domanda, che cosa sarebbe stato di noi se la pubblica carità fosse stata corta alle nostre grida di dolore? Nol so.
Il terremoto non solo ci privò di tanti nostri cari, ma perdemmo ancora tutte le nostre masserizie, vino, olio, denari, biancheria ecc ecc. Tutti fuggimmo con quel pò di roba che avevamo indosso, e molti con la pura camicia e senza un soldo.
- XVI
Coloro che vennero sul luogo del disastro, oltre a portare i soccorsi dissero, e ripeterono. essere necessario che la gente ritornasse ai suoi lavori. Siccome il consiglio fu dato da persone bene intenzionate, noi dobbiamo ringraziarle. Ma, a chi conosceva Bussana, quel consiglio parve un affronto. I bussanesi furono sempre gente industriosa assai ed amatissimi del lavoro, basta dare un'occhiata al loro vasto territorio, tutto coltivato da sembrare un giardino, per comprendere che non hanno bisogno di essere eccitati al lavoro.
Se la gente stette per quasi un mese inoperosa lo si deve attribuire al terrore da cui erano sempre invasati, e dal desiderio di vedere se era possibile di salvare quel poco loro bene sepolto sotto le rovine. Dirò di più che più di una volta, avendo parlato io stesso con qualcuno dei più laboriosi e detto (parlo dopo venti giorni) “ora si potrebbe cominciare a lavorare”, mi rispondevano: “è inutile, non possiamo, le braccia le abbiamo irrigidite, e la volontà non sa persuaderci per quanto vediamo necessari certi lavori…”
Ed era vero. Quì, da noi, non vi fu neppure un caso di alienazione mentale, ovvero di ebetismo, ma, la svogliatezza fu generale e durò a lungo assai. Che se, a tutto questo, si aggiungono le continue scosse di terremoto che si udivano e poi le false dicerie, che si spargevano di continuo, si avrà sempre una ragione in più per legittimare ciò che, in altri tempi, si sarebbe chiamata infingardaggine.
Ho parlato di false dicerie e confesso che esse ci fecero del male e tanto. Racconterò un fatto solo. Una sera si sparge la notizia che, durante la notte avrebbe fatto tale una scossa di terremoto che il mare sarebbe salito fino a Bussana, pur ben alta sopra il livello del mare, e che saremmo morti annegati. La notizia in un momento venne alla portata di tutti. Coloro che aveano la mente un pò più libera non pensarono neppure di discutere il falso allarme, ma disgraziatamente molti vi credettero, e passarono un assai brutto quarto d'ora. Infatti, o fosse vento, o rumore del mare agitato, fatto sta che, verso la mezzanotte si udì un rumore cupo ed allungato; ebbene molti uscirono di sotto le tende gridando: “poveri noi, siam tutti morti, il mare monta a Bussana, poveri i nostri figli, era meglio morire sotto il terremoto…”.
Il lettore che legge simile istoria forse riderà a tanta dabbenaggine e confesso che non ha tutti i torti, ma chi si trovò in mezzo a quelle menti agitate non rise, alzò gli occhi lacrimosi al cielo e “Signore - disse - quando avrà pace questa mia cara popolazione, questa gente già tanto disgraziata?”